Don Antonio Serra oggi è cappellano nella missione italiana di Londra, ma dal 1993 al 2005 è stato ideatore e direttore di Radio Kalaritana.
Come nasce il rapporto con la Radio e come si è sviluppato?
Al mio rientro da Roma, conclusi i miei studi in Pastorale delle Comunicazioni, l’arcivescovo Alberti mi nominò direttore della radio diocesana, il titolo c’era ma mancava la radio. Onore al merito a don Eugenio Porcu che mise a disposizione al Vescovo la sua “Famiglia Radio”, una radio parrocchiale gestita dall’omonima associazione.
Avevo la competenze teoriche e pratiche per creare una strategia comunicativa radiofonica ma mancava quasi del tutto la competenza sull’alta frequenza e su tutto il complesso iter burocratico previsto dalla legge Mammì che regolamentava il sistema radiotelevisivo italiano, pianificando le radiofrequenze, ripartendo le frequenze a livello nazionale ma anche congelando le frequenze secondo la mappatura esistente. Concretamente per me significava avere una radio con due frequenze cittadine senza possibilità di creare una rete che coprisse l’intero territorio diocesano.
Come uscire dall’impasse?
Incontrai i direttori di alcune delle più importanti radio del panorama regionale e tutti mi suggeriscono di rinunciare all’impresa. Non ascoltai i loro consigli e il fatto che oggi dopo due decenni Radio Kalaritana è ancora una radio di successo significa che avevo ragione.
Quali le maggiori difficoltà nella sua gestione?
Partire da zero e dover pensare a tutto: gruppo direttivo, apparecchiature, adeguate, una sede, dei collaboratori, una programmazione che potesse identificare la nostra radio tra le tante e la copertura adeguata del territorio diocesano. Per quanto riguarda il gruppo direttivo dell’Associazione “Famiglia Radio” devo ringraziare Carmen Argiolas e Carlo Thorel che mi hanno affiancato sin dalle fasi iniziali di questo progetto. Come sede iniziale ci furono assegnati i locali di via del Fossario. Parlare di norme di sicurezza per me era pura utopia. Era frequente per noi entrare in radio al mattino e trovare la stanza allagata. Di riscaldamento neppure l’ombra. Chi di noi può dimenticare Antonello Padiglia con la sua cuffia in testa? D’inverno sempre con il giubbotto indosso e io spesso avevo una copertina sulle gambe.
Riguardo la programmazione non era facile trovare una nicchia di ascolto che ci potesse identificare e distinguere tra le numerose radio locali e l’ascoltatissima Radio Maria. Puntammo molto sull’informazione locale e sulla musica di qualità.
La radio è stata fucina di professionisti alcuni dei quali sono stati intervistati. Ancora una volta la Chiesa forma persone competenti ma non riesce trovare il modo di trattenerle?
Quando ho dato l’avvio al progetto radiofonico, il mio desiderio era di creare qualcosa di alto livello. Questa aspirazione si sarebbe potuta facilmente realizzare con la l’assunzione di professionisti qualificati. Ma poiché questa non era una opzione neppure immaginabile nel panorama diocesano di allora, mi restava una seconda opzione: creare da me stesso dei (semi-) professionisti attraverso un progetto formativo specifico. Accettare di collaborare alla Radio Kalaritana come volontari significava non soltanto giocare con un microfono ma partecipare a diversi livelli dei corsi di comunicazione, di dizione, di scrittura giornalistica, di recitazione, di lingua inglese e anche ad incontri di natura spirituale.
Radio Kalaritana ha così accolto tra le sue mura parecchie decine di giovani e meno giovani che hanno raccolto con me la sfida di un progetto che ai quei tempi a molti sembrava utopistico. Se dunque da un lato i volontari davano tempo e risorse personali per servire la Chiesa, la Chiesa, attraverso l’esperienza radiofonica dava ai giovani l’opportunità di formarsi seriamente ed efficacemente al mondo del lavoro. L’Associazione che gestiva la Radio si chiamava “Famiglia Radio” e di fatto noi tutti costituivamo una vera e propria famiglia.
Spesso, come direttore di una realtà così complessa e con punte di anche 60 collaboratori, il mio ruolo non era tanto facile e non sempre sono stato tenero con i collaboratori. Ma nel vedere i risultati conseguiti dalla maggior parte degli ex-collaboratori, alcuni dei quali sono stati intervistati, ma non sono gli unici, penso di poter dire che ne sia valsa la pena.
A distanza di circa 13 anni dal giorno in cui uscivo definitivamente dalla Radio, posso dire che ne è valsa la pena.
Roberto Comparetti
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