Se ne parlerà in un convegno il prossimo settembre
Ripensare l’esercizio del ministero presbiterale .
La Chiesa non ha il bancomat.
Mentre Poste, banca, Inps, quando abbandonano un territorio numericamente non più interessante, possono farsi sostituire da un bancomat, la parrocchia non può farlo.
Esiste solamente se è Chiesa tra le case. Anche fisicamente vicina alla storia personale di uomini, donne, vecchi ragazzi e bambini.
«Le parrocchie … rappresentano, in certo qual modo, la Chiesa visibile stabilita su tutta la terra», si legge nella Costituzione sulla «Sacra Liturgia» del Vaticano II.
San Giovanni XXIII, parlando della Chiesa, la definiva come «l’antica fontana del villaggio che dà l’acqua alle generazioni di oggi, come la diede a quelle del passato».
Ma le generazioni di oggi sono meno numerose rispetto a 30 e 50 anni fa e la prossimità pastorale si fa sempre più problematica, perché il numero dei sacerdoti è in picchiata.
Una situazione critica evidente, soprattutto nei comuni minori delle zone interne, un’emergenza che interpella non solamente vescovo e sacerdoti, ma anche laici in quanto destinatari e corresponsabili della pastorale.
A fine settembre, la comunità di Seuni – una delle più piccole (108 abitanti) della nostra diocesi – chiamerà fedeli, pastoralisti, amministratori locali, parroci intorno all’arcivescovo, Giuseppe Baturi, per una riflessione generale sul tema «Centri minori: la Chiesa non chiude».
Molte le cause della fuga dai comuni, soprattutto delle zone interne: la mancanza di lavoro è la madre di tutti i problemi, il non rientro dei giovani nei paesi d’origine al termine degli studi universitari a Cagliari e Sassari; la carenza di servizi (trasporti, socio-sanitari specialistici, scuole superiori, tempo libero).
Negli ultimi 20 anni tra tutti i comuni della Trexenta, soltanto Senorbì ha visto aumentare la popolazione, tutti gli altri sono col segno meno.
Nel Gerrei identico fenomeno.
Entro i prossimi 40 anni potrebbero scomparire dalla carta geografica 31 municipi: quattro in provincia di Cagliari, quindici di Oristano, dieci di Sassari, uno in Ogliastra, uno di Olbia-Tempio, nessuno del Nuorese.
Ma in Sardegna i comuni a rischio spopolamento sono circa 300 su un totale di 377.
I segni della diminuzione del clero sono evidenziati dal numero delle parrocchie assegnate a scavalco a un sacerdote.
Nella diocesi di Oristano un solo presbitero deve curare la pastorale di 5 parrocchie, in totale 2000 abitanti.
Situazioni quasi analoghe cominciano a vedersi anche in altre Chiese locali della nostra Isola.
«Noi siamo già in ritardo sul futuro, che va avanti da cinquant’anni», dice il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei. Serve «uscire da schemi ormai sclerotizzati, rompere con la logica del “si è sempre fatto così”», dicono i vescovi delle «Aree interne».
Un prete per 5 parrocchie significa poter contare sulla sua presenza non più di un giorno la settimana.
Con l’imbarazzo della scelta di decidere che cosa conservare tra visite e comunione agli ammalati, confessioni periodiche, catechesi organizzata, celebrazioni liturgiche, festeggiamenti in onore dei tanti Santi venerati nel paese, con il corollario di novene e processioni.
Pasqua e Natale, domenica e feste comandate vedranno i preti correre da un paese all’altro.
Che fare? «Ripensare l’esercizio del ministero presbiterale – scrivono i vescovi – e promuovere con decisione il sacerdozio comune di tutti i battezzati, una ministerialità diversificata e responsabile, la valorizzazione del diaconato permanente, del laicato, quello femminile in particolare, che è parte consistente delle nostre comunità».
Ma ci vuole coraggio. Come quello che ebbe monsignor Ottorino Alberti agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso, quando nominò parroco di Goni Lino Marceddu, padre di otto figli.
Don Gianfranco Zuncheddu–Assistente spirituale – Parrocchia di Seuni
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