Quali principi etici bisogna seguire in caso di forti difficoltà nella gestione dei pazienti di coronavirus?
Quali malati trattare in caso di oggettive carenze di spazi e cure sanitarie?
Parte da questi interrogativi il breve studio che l’associazione «Scienza e Vita» ha presentato nei giorni scorsi. «Proprio il crescere continuo della curva di malati di Covid 19 – dice Maurizio Calipari, portavoce dell’Associazione – ha indotto a porre una riflessione su quali scelte sarebbero da fare in caso di vera e propria emergenza. Ad esempio se ho dieci pazienti da intubare e cinque respiratori dovrò fare una scelta, si tratta di un fatto materiale. Occorrono comunque dei criteri che hanno un profondo risvolto etico – morale, perché incidono di fatto sul salvare o non riuscire a salvare una vita».
Quali criteri indica il vostro documento?
Abbiamo voluto sottolineare che bisogna stare attenti a non adottare criteri che possono risentire di ben altre ideologie o punti di riferimento che nulla hanno a che vedere con il semplice dato clinico.
Come il mantra ripetuto in questa epidemia che la malattia colpirebbe maggiormente gli anziani?
Esattamente. Il rischio è che i criteri di valutazione si colleghino a fattori che nulla hanno a che vedere con il bisogno clinico. Non sta scritto da nessuna parte che una persona solo perché anagraficamente più anziana possa aver meno bisogno clinico di certi supporti. Magari in alcuni casi un intervento di terapia intensiva può essere più utile ad una persona anziana che non a una più giovane, che invece ha una condizione clinica più degradata, e agli occhi dei clinici è difficilmente recuperabile.
C’è poi un elemento di fondo importante: non possiamo discriminare le persone in base a criteri del tutto convenzionali o ancora peggio, ed è il rischio che striscia un po’ nella nostra attuale cultura, con criteri utilitaristici, laddove si pensa che chi non è più in grado di dare granché alla società, perché magari ha già vissuto la sua parabola di vita lavorativa e quindi tutto sommato per la società diventa quasi un peso, deve essere eliminato perché incapace di produrre, come professa la cultura dello scarto che papa Francesco non cessa di condannare.
Il rischio è di cadere un questa mentalità?
Purtroppo sì: è una forma di pensiero discriminatorio che preoccupa, è atroce, ingiustificabile e, allo stesso tempo, determina gravi conseguenze. Se accettiamo una logica del genere in un tempo di emergenza quando finirà l’epidemia il principio resterà valido, pur non essendoci più il momento di difficoltà. Il rischio è che pian piano si accetterà questo tipo di pensiero anche con una pianificazione sanitaria dello Stato, un fatto grave e assurdo.
Come evitare questa deriva?
È importante che anche in queste situazioni di emergenza si mettano dei paletti chiari dove si dice che tutte le persone vanno riconosciute nel loro valore e nella loro dignità e che l’eventuale scarsità di mezzi a disposizione dei pazienti deve seguire dei criteri di benessere clinico prevedibile per ciascun paziente, senza alcuna selezione preventiva di tipo utilitaristico.
Maria Luisa Secchi
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