V Domenica del tempo Ordinario (Anno B)
Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati.
Tutta la città era riunita davanti alla porta.
Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demoni; ma non permetteva ai demoni di parlare, perché lo conoscevano.
Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava.
Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce.
Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!».
Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».
E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demoni.
Commento a cura di Emanuele Mameli
«Tutti ti cercano».
In quella città riunita davanti alla porta della casa di Simone e Andrea, in attesa delle parole e dei gesti di Gesù ma negli amici che si mettono sulle tracce del Maestro mentre è nel silenzio della sua preghiera, come anche in quell’ininterrotto chiedere aiuto, portare i malati, presentare la sofferenza visibile e invisibile della propria vita…, insomma in ogni passaggio della pagina odierna del Vangelo, ci siamo noi.
Abbiamo fatto, facciamo e sicuramente faremo i conti con la sofferenza: con quella sofferenza che a ciascuno si presenta con l’imponente varietà delle sue espressioni, sia essa fisica che interiore.
Ci misuriamo con le notti lunghe e con gli affanni che stritolano il cuore; ci assillano preoccupazioni e dolori che ci fanno girare e rigirare nel letto e ci travolge la delusione di una vita sempre più rappresentabile come un soffio, come tale difficile da afferrare e da contenere.
A velare ogni istante di gioia, di serenità e di pace, la consapevolezza della nostra fragilità, l’esperienza nostra e altrui della sofferenza, la percezione che basta veramente poco per intaccare il nostro corpo e per destabilizzare l’equilibrio della nostra interiorità.
In questa esperienza di sofferenza che ci lega gli uni agli altri e che ci appartiene in quanto uomini, si ripetono anche per noi, nel nostro continuo cercare sollievo e speranza, le parole e i gesti di Gesù.
Dio stesso si avvicina nella nostra storia, prende su di sé il peso della nostra infermità, si fa debole con i deboli, medico del corpo e dello spirito, dono di tutto sé stesso per tutti.
La buona notizia, concretissimamente vera anche per noi, è tutta in quella «mano di Gesù» che tocca, che solleva, che risana.
È tutta in quella Parola nuova che mette a tacere ogni forma di male e che Gesù porta dappertutto.
In altri passi del Vangelo, Marco sottolinea che ai malati bastava poter toccare almeno il lembo del mantello di Gesù.
Certo: ci può essere superstizione e un briciolo di nociva magia in questo atteggiamento ma anche una fede enorme.
La fede di chi intravvede, al di là della possibile guarigione, un’attenzione mai ricevuta in un mondo che considerava gli ammalati dei maledetti da Dio.
Gesù, invece, svela il volto di Dio ricco di tenerezza e di compassione: soccorre e sana.
A volte il corpo, quasi sempre l’anima.
«La fece alzare prendendola per mano».
Il gesto che Gesù compie per la suocera di Simone, sfinita dalla febbre, è lo stesso gesto con cui verrà raccontata la sua resurrezione dalla morte: la mano del Padre fa rialzare Gesù.
Il peccato con tutte le sue conseguenze di malattia, fino all’abisso della morte, non ha più il potere di decretare per sempre la sconfitta dell’uomo e né di annientare la vita.
Il peccato è vinto dall’amore più grande di Gesù che assume in sé, senza colpa alcuna, tutte le fragilità e le debolezze dei suoi fratelli.
Da questo nasce per noi un importante impegno: fare in modo che la mano con cui Gesù ci solleva, possa diventare la nostra stessa mano, tesa a sollevare chi vediamo accanto a noi abbattuto e sfinito; la nostra mano che, in parole e in gesti concreti di ascolto, di condivisione e di consolazione rialza, sostiene, abbraccia e incoraggia.
Come la mano di Gesù!
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