Un ragazzo su dieci sostiene di aver alzato le mani durante un litigio, chi una sola volta (5%), chi più di una (4%), mentre ben il 35% dei ragazzi ammette di aver preso a parolacce una persona dell’altro sesso in caso di scontro. Le ragazze reagiscono, a volte anche nella stessa maniera, ma se ricevono uno schiaffo, in genere perdonano. Lo dichiara ben il 42% del campione femminile, che darebbe al fidanzato una seconda possibilità.
Sono i dati di una ricerca di Skuola.net su circa 4.600 ragazzi di differente età e sesso: si tratta di studenti di medie, superiori e università intervistati a ridosso della recente Giornata mondiale contro la violenza sulle donne.
Una conferma su quanto sia necessario un cambiamento culturale. Gli oltre sette milioni di casi denunciati in Italia, ma chissà quanto restano nascosti, sono un campanello d’allarme sul fenomeno di violenza contro le donne.
Monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita, ha di recente parlato di un segno evidente dell’indebolimento della cultura contemporanea. «Dietro a questi episodi – ha detto ai microfoni della Radio Vaticana – c’è una sorta di “egolatria”, di culto dell’io, per cui quel che conta sono io e sull’altare dell’io si sacrificano anche gli affetti più cari, compresi quelli più vicini. In questo senso, il recupero della differenza vuol dire l’impossibilità a ridurre la realtà a se stessi. Questo è il nodo che oggi è ancora poco sciolto, anche all’interno del normale pensiero sia di chi crede ma anche del pensiero laico. Dobbiamo andare un po’ al di là, sia del maschilismo che del femminismo: cioè, dobbiamo rifondare una nuova cultura».
L’associazione di telespettatori cattolici Aiart ha puntato l’indice anche su social media. «La violenza sulle donne – si legge in una nota – passa anche attraverso i social media. Troppo spesso assistiamo a messaggi aggressivi, lesivi della dignità della donna che potrebbero essere evitati con una buona media education fin dalle scuole elementari. Bisogna educare a evitare certi atteggiamenti lesivi delle donne fin dall’infanzia».
Una nuova cultura insieme a una formazione al rispetto dell’altro, sono dunque le armi attraverso le quali prevenire il fenomeno, fortemente presente anche in Sardegna, come mostrano le due esperienze presentate all’interno di questo numero. Segno che anche in una società matriarcale, come quella sarda, alcuni retaggi sono difficili da estirpare.
Il fenomeno al pari di altri, come la ludopatia, ha anche dei risvolti sulle tasche di ciascuno di noi. Secondo quanto pubblicato da «Il Sole 24 Ore» la violenza, oltre a un enorme costo sociale e umano, determina anche un costo ingente per l’intero Paese in termini di spese sanitarie, giudiziarie, mancata produttività sul lavoro della donna vittima di violenza. La onlus WeWorld ha stimato, nel 2013, un costo per l’Italia di quasi 17 miliardi di euro. L’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, partendo dal caso inglese, ha stimato un costo per il nostro Paese di circa 13 miliardi di euro, circoscritto alla violenza domestica, quella perpetrata da chi ha un rapporto affettivo o familiare con la vittima.
Cifre decisamente importanti tanto che, nella legge di bilancio 2018, il Governo ha messo a disposizione risorse per i centri antiviolenza e le case rifugio oltre 30 milioni.
Prevenire, educare, cambiare la cultura restano dunque le vie attraverso le quali ridurre un fenomeno che mostra un pauroso crescendo, come testimoniano le cronache quotidiane: ogni tre giorni una donna è vittima di violenza.
Roberto Comparetti
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