Solo 13 sardi su 100 si fidano del prossimo
«Il tuo grano è maturo, oggi, il mio lo sarà domani. Sarebbe utile per entrambi se oggi io lavorassi per te e tu domani dessi una mano a me. Ma io non provo nessun particolare sentimento di benevolenza nei tuoi confronti e so che neppure tu lo provi per me. Perciò io oggi non lavorerò per te perché non ho alcuna garanzia che domani tu mostrerai gratitudine nei miei confronti. Così ti lascio lavorare da solo oggi e tu ti comporterai allo stesso modo domani. Ma il maltempo sopravviene e così entrambi finiamo per perdere i nostri raccolti per mancanza di fiducia reciproca».
Scriveva così David Hume, nel suo «Trattato sulla Natura Umana», per sottolineare le difficoltà della vita in comune e il ruolo che la fiducia può giocare nell’aiutarci a superarle.
Del resto, la fiducia è quel «lubrificante del sistema sociale», come l’ha definita il premio Nobel per l’economia Kenneth Arrow che ha, inoltre, sostenuto in modo convincente come «gran parte dell’arretratezza economica nel mondo può essere spiegata da una mancanza di fiducia reciproca».
E in Sardegna quanto siamo disposti a fidarci l’uno dell’altro?
Non molto, a giudicare dai dati emersi da una recente ricerca SWG-ACLI: solo il 13% dei nostri conterranei è convinto che ci si possa fidare, degli altri, in generale.
Questo dato è ancora più allarmante proprio perché si presenta in un periodo di oggettiva crisi, economica, sociale e relazionale.
Proprio in un periodo, cioè, nel quale maggiore sarebbe il bisogno di coesione, unità e progettualità comune, davanti alle sfide della pandemia e delle sue ricadute presenti e future.
Cos’ha inquinato i nostri rapporti, cos’ha disperso il patrimonio di relazioni fiduciose e cooperative?
Cosa ci ha portati a guardare agli altri con questa diffidenza, a sentirci meno fratelli e sorelle?
Una vita sempre più anonima, forse, nella quale, spesso, possiamo dire chi siamo e cosa desideriamo solo consumando beni, perché l’esigenza di espressione esistenziale spesso fatica a trovare altre voci, altri canali nelle nostre vie piene di gente isolata, nei centri commerciali affollati e pure così intrisi di solitudine, nelle piazzette e nei muretti dove i nostri figli hanno smesso di incontrarsi veramente per rifugiarsi in esperienze fatte di relazioni virtuali, nelle nostre parrocchie, sempre più spesso, fredde e vuote.
Mancano testimoni credibili e profetiche, capaci di ispirare e trascinare o, se ci sono, non vengono raccontati in un panorama informativo desolato.
Otto sardi su dieci pensano che dell’altro si debba diffidare.
E se avessero ragione?
E se non fosse solo un problema di percezione, ma un dato di fatto? Dovremmo considerare questa possibilità, smetterla di «raccontarcela» e iniziare a fare i conti con una società disunita, separata, individualista e spaventata, e progettare contromisure.
Con uno sguardo lungo che superi l’orizzonte del ciclo politico e del tornaconto elettorale.
Che imposti un progetto ampio e che coinvolga i giovani, soprattutto, un’alleanza di uomini, donne e organizzazioni di buona volontà, animati da una esigenza profonda di rinnovamento del tessuto sociale che passi, prima di tutto, dalla valorizzazione della scuola, dalla lotta alle disuguaglianze e all’esclusione e dalla costruzione di un senso dell’esistenza che ci trascenda come individui e ci collochi in un contesto più ampio, quell’ecologia integrale di cui parla papa Francesco.
Ecco la sfida dei prossimi anni che noi sardi non possiamo permetterci di perdere, per noi, per i nostri figli.
Vittorio Pelligra – Docente di Politica economica -Università di Cagliari
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