Domenica scorsa, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo discorso dalla piazza di Trieste, ha messo in luce come, il ricordo della fine del Primo conflitto mondiale, debba essere di monito al mantenimento della pace in Europa e nel mondo.
«Lo scoppio della guerra nel 1914 – ha sottolineato – sancì, in misura fallimentare, l’incapacità delle classi dirigenti europee di allora di comporre aspirazioni e interessi in modo pacifico anziché cedere alle lusinghe di un nazionalismo aggressivo».
Intervistato dal «Corriere della Sera» Mattarella ha sottolineato come l’amor di patria non ha nulla a che fare con il nazionalismo. «L’amor di patria – ha detto – non coincide con l’estremismo nazionalista. L’amor di patria oggi è inscindibile con i principi della nostra Costituzione, che ne sono il prodotto e il compimento».
L’antidoto al virus del nazionalismo è la nostra Carta costituzionale, ma considerato l’analfabetismo funzionale diventa difficile far comprendere, a chi è digiuno di questi temi, l’importanza di una convivenza costruita su scambi e condivisione.
Il virus, potente, del nazionalismo si sta diffondendo non solo in Europa ma anche in altre zone del pianeta con un proliferare di movimenti e associazioni che inneggiano a primati (razza, nazione, lingua, religione) di cui si era persa memoria.
Il 1 agosto del 1917 Benedetto XV scrisse una lettera ai belligeranti chiedendo di porre fine «all’inutile strage».
«Non esiste una “grande” o “piccola” guerra – ha dichiarato al Sir monsignor Giovanni Ricchiuti arcivescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti – presidente di Pax Christi – ogni guerra è una inutile strage, inutile, cioè dannosa per tutti. Perché quando parli di guerra, grande o piccola che sia stata o lo sia tutt’ora, ne parli sempre per piangere i giovani soldati che sono morti e pensare ai feriti e ai mutilati, ai genitori rimasti senza figli, alle vedove e agli orfani. Ai cumuli spaventosi di macerie materiali e morali».
Il totale delle perdite causate dal Primo conflitto Mondiale si può stimare in oltre 37 milioni di persone, contando più di 16 milioni di morti e 20 milioni di feriti e mutilati, sia militari che civili.
Cifra, questa, che fa della «Grande Guerra», uno dei più sanguinosi conflitti della storia umana.
Anche la Sardegna ha pagato il suo tributo con la vita di più di 13mila giovani tra i 18 e i 25 anni. A questa cifra deve essere aggiunta quella dei feriti e invalidi.
Un tributo pesante se si pensa al basso tasso di popolazione residente allora nell’Isola. Con le perdite del conflitto la Sardegna subì infatti un danno antropologico non indifferente: nei villaggi e nei paesi, vecchi e donne, componevano la popolazione residente mentre i giovani non esistevano quasi più, inghiottiti dall’inutile strage.
«La guerra è follia» ha detto papa Francesco al Sacrario di Redipuglia, nel settembre del 2014 in occasione del centenario dell’inizio della Prima Guerra Mondiale. Il Papa, in quell’occasione, ha chiesto all’umanità la conversione del cuore, perché quella che si sta combattendo oggi è una terza grande guerra, «con crimini, massacri, distruzioni».
Ed è di questi giorni l’ultima immagine shock pubblicata dal «New York Times». Un’immagine che sconvolge e fa riflettere, una triste conferma di quanto siano vere e attuali le parole di papa Francesco: una bimba di 7 anni muore di fame nello Yemen.
Anche questa è una guerra dimenticata, che quotidianamente miete migliaia di vittime, con un sovraccarico di epidemie e di carestie. E l’Europa e il nostro Paese sono in qualche modo implicati.
Roberto Comparetti
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